Borgo: “Shomurodov mi piace, spregiudicato. Il Picco un sogno”

Centoquattro partite con la maglia dello Spezia, neppure un gol. Eppure resta un’icona incancellabile. Sergio Borgo domenica era all’Alberto Picco, con una socia della sua Academy, che in Gambia e Senegal sta sfornando talenti. Queste le sue parole rilasciate a Il Secolo XIX:

Borgo, a cosa si deve la sua visita allo stadio Picco?

«All’invito di Eldor Shomurodov. Eravamo in contatto con lui e con altri ragazzi della Roma, ci ha chiesto se prima di rientrare in Africa volevamo vedere la partita. Abbiamo anche portato fortuna. La prima rete di Eldor in quello stadio. Il fato? A me lui piace, classico giocatore dell’Est, attaccante che gioca anche con spregiudicatezza. Sembrano timidi, riservati nell’espressione e questo li penalizza, ma qui si tratta di un ottimo calciatore».

Che gara ha visto?

«Spezia che ha sofferto nel primo tempo e che poi l’ha ribaltata nella ripresa, peccato perché avrebbero potuto vincerla. Quando ti fermano un palo e una traversa hai del rammarico da spendere. Nel primo tempo, però, meglio loro».

Una squadra che può salvarsi e che dimostra anche di saper risalire?

«Sono stati bravi a ricomporre tutto dopo un brutto inizio, ma hanno cambiato nel momento migliore. Bravo Semplici a centrare le mosse giuste. Agudelo e Maldini la svolta? Il colombiano ha fatto 20 minuti di fuoco, creando scompiglio, non sono dal punto di vista tecnico, più caratteriale. Ha dato una scossa di adrenalina a tutta la squadra, l’ha come presa per mano. Daniel? Io parto da lontano. Ho conosciuto il nonno, che è stato mio allenatore a Foggia, quando la Lazio mi mandò in prestito. Qui parli di stile, dna, intelligenza ed eleganza. Sono gente, i Maldini, che sanno quello che fanno e come lo fanno, la loro storia lo dice. Hanno un timbro dentro. Daniel ha tecnica e forza, si è saputo ritagliare uno spazio in una zona di campo importante, e lo ha fatto con quella personalità che ritrovi nei calciatori giovani che poi emergono. Guardate che punizione che ha tirato e dove l’ha messa».

Il pragmatismo di Semplici quindi su tutto, saper trarre il meglio dalla pratica, meno teoria. È d’accordo?

«Direi che i meriti del mister sono indubbi, può far ancora crescere la squadra».

Poi il Picco, quello che fa la differenza.

«Anche se sono cambiati i tempi, e siamo cambiati noi, è sempre lo stadio dei sogni, di quello che magari immagini non possa avvenire e invece avviene. Di gente che se gioca lì poi se lo ricorda per tutta la vita».

Una foto rimasta nel cassetto della memoria, per sempre, tra le mille scattate?

«Una storia di decibel, perché il Picco per me è solo decibel, da un pomeriggio, 1 giugno 1986, tante ere calcistiche fa. Giocavamo quella partita che ci avrebbe portato in C1. Non in Coppa Campioni ma semplice C1, che sembrava però qualcosa di inarrivabile. Andammo sotto, non ne avevamo più, io non ne avevo più. Eppure quei decibel della gente fecero il resto, ci condussero a pareggiare, ci presero per mano o meglio per il braccio. Io, morto, che venivo alzato con due bastoni sotto le ascelle e portato in area avversaria. Con i decibel, solo con quelli, vincemmo il campionato. La Pistoiese non c’era, ci poteva essere qualunque squadra al mondo sarebbe stata la stessa cosa».

Borgo oggi, in giro per il mondo e in Africa.

«Ho due academy con una collega, scopriamo talenti tra Gambia e Senegal. Sto tornando a Dakar e Banjul, formiamo sia calciatori che allenatori. Abbiamo collocato due ragazzi alla Roma, e uno alla Fiorentina di recente. Vero che i tempi cambiano, ma io e il calcio mai». 

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