25 Settembre 2022 - 13:35

Ramos a SP: “Spezia indimenticabile, che forza il Picco. Sostenete Nzola, Basto che grinta”

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Dall’Uruguay all’Uruguay, il passo è breve. E chi meglio di Juan Ramos lo può sapere. Una carriera cominciata in patria, al Wanderers di Montevideo, prima di approdare in Italia al Catania e da lì spiccare il volo, ad ali spiegate, verso la Serie A. Sulla sua strada, per fortuna, ha trovato un certo Vincenzo Italiano e i loro destini si sono incrociati. Il resto è storia. La doppia promozione con il Trapani, poi quella con lo Spezia, indimenticabile, da annali. Il palcoscenico della massima serie, fino alla chiamata irrinunciabile: il Penarol, nella sua terra, nel suo Sudamerica, uno dei top club del suo Uruguay.

Oggi, a 26 anni appena compiuti, Ramos ha ritrovato le sue radici ma non ha dimenticato da dove viene e i posti in cui è calcisticamente maturato. Tanto che del Picco e della sua gente ricorda tutto, come fosse ieri. E segue con grande attenzione e passione quella squadra in cui ha ancora tanti amici. Lo abbiamo intervistato, in esclusiva, direttamente dall’altra parte del mondo, ma nonostante la distanza le sue parole sembrano vicinissime.

Ramos come sta? Come procede l’avventura al Penarol? È un palcoscenico un po’ diverso dalla Serie A…

Molto bene, sono contento qui. L’anno scorso abbiamo vinto il campionato, quest’anno stiamo lottando anche se non è facile perché siamo un po’ distanti dalla prima posizione, ma siamo ancora in corsa e vedremo cosa succederà. È sicuramente un altro tipo di calcio rispetto all’Italia: c’è meno tattica e più contrasto, bisogna adattarsi un po’ perché ogni Paese ha uno stile diverso. Quando è arrivata l’opportunità di giocare qui non ho avuto dubbi: sono contento di essere a casa e nel contempo in una grande squadra nel Sudamerica.

Nonostante il cambio di maglia, però, le emozioni provate in maglia Spezia restano indimenticabili. La promozione in A su tutte.

Senza dubbio. A Spezia ho passato forse gli anni più belli vissuti nel calcio italiano, sia con la promozione che con la successiva salvezza. Due anni magnifici, in cui ho imparato tanto da allenatore e compagni e mi sono sentito come a casa. La città è molto bella e il club è ancora oggi uno degli esempi più virtuosi a livello italiano.

Ha in mente di tornare un giorno in città?

Sicuro! Prima o poi torno, perché ho degli amici lì e conosco molte persone. Forse anche quest’anno mi organizzerò per venire in Liguria.

Nel frattempo seppur da lontano segue ancora la Serie A?

Assolutamente sì. Qui in Sudamerica si guarda tanto il campionato italiano, che con la Liga e la Premier è fra i più seguiti. Seguo lo Spezia ogni volta che posso, perché è come se mi sentissi ancora parte di quella squadra. L’ho lasciato che era in Serie A e sono felice che ci sia ancora: lì si combatte ogni partita per mantenere la categoria e quindi mi piace rivedere quello spirito.

Che gliene pare della squadra di Gotti? Ci rivede qualcosa dello Spezia di Italiano?

Vedo una formazione con più consapevolezza rispetto a quella del primo anno. Sono arrivati giocatori importanti e con molta esperienza in A, ma c’è ancora qualcosa, qualche momento in cui sembra quella di Italiano. Io penso che alcuni allenatori lascino cose che non vanno via, anche quando cambia la guida tecnica. Pure Motta lo ha fatto: quando rimangono calciatori dagli anni prima che hanno assimilato certe cose, ci sono dettagli che restano.

A proposito di Italiano, oggi alla Fiorentina: con lui ha avuto modo di crescere molto. Può ambire a un top club?

Gli devo molto. Mi ha insegnato tanto a livello di movimenti e di gioco: come altri giovani pensavo di sapere tutto, invece ho dovuto assimilare un calcio nuovo, che all’inizio non era facile per nessuno. Ricordo che anche molti compagni hanno avuto difficoltà all’inizio, ma penso che un allenatore così trasmetta l’idea giusta e poi sia il calciatore a doverla assimilare. Da lì siamo noi atleti che la facciamo nostra: ancora oggi mi porto dietro insegnamenti importanti. Lo vedo come un tecnico che può fare ancora un grande salto in avanti: lo aveva già dimostrato allo Spezia, ma anche alla Fiorentina, nonostante una partenza difficile quest’anno. Ha tanta fame, è molto capace in campo e penso che sia in grado di migliorarsi anno dopo anno. È una persona intelligente e sa anche ascoltare.

Se le dico la parola “Picco” a cosa la associa? Anche quest’anno è un fattore determinante.

Quello stadio trasmette un’energia vincente, che sa fare la differenza. Non saprei come spiegarlo, perché è una cosa che va vissuta, si sente solo quando ci sei. In casa ci sentivamo veramente forti e abbiamo fatto grandissime vittorie anche in A, ricordo quella con il Milan. Penso che ancora il Picco sia un fattore determinante ed è merito della gente, vero valore aggiunto.

Parliamo di alcuni singoli, visto che li conosce bene. Come si spiega il cambio repentino di Nzola? Che ragazzo è? Ha davvero così bisogno di stimoli mentali forti?

Mbala è un ‘grande buono’. Va capito, il gruppo lo sa com’è: ha degli atteggiamenti non sempre corretti ma senza malizia. Se la squadra e lo staff lo sanno capire lui sa dare tutto e ha delle potenzialità incredibili. È un grande giocatore davanti che sa fare la differenza se sta bene.

E Bastoni? È una sorta di totem in città e la sua crescita è strepitosa. Secondo lei merita la Nazionale?

Basto ha avuto una crescita devastante, anche l’anno scorso ha avuto una grande stagione. È un giocatore molto versatile e il fatto di ricoprire più ruoli è importante nel calcio di oggi. Con Gotti sta facendo la mezzala e questo gli permette di trovarsi al meglio, arrivando anche spesso in zona tiro. È ancora molto giovane e solo lui sa dove può arrivare.

Si aspettava Gyasi capitano? È l’uomo giusto per raccogliere l’eredità di Maggiore?

Sì, senza dubbio. È un esempio per tutti sia dentro che fuori dal campo. Confesso: non l’ho mai visto rimanere fuori da una partita in tre anni, non salta mai una gara. Ha sempre voglia di giocare e quell’atteggiamento lì fa la differenza. È da capitano.

Questa è una stagione anomala, con uno stop invernale inedito per il Mondiale. Oltre a tifare per il suo Uruguay, chi vede fra le favorite?

Vedo alcune squadre in lizza: secondo me il Brasile su tutti, ma occhio all’Inghilterra. Non so perché ma vedo una squadra molto ben costruita. Sarà sicuramente strano vedere un Mondiale in questo momento dell’anno, ma certamente sarà un bel periodo per tutto il movimento calcio. Noi in Uruguay finiremo il campionato fra un mese e poi inizieremo il ritiro dopo il Qatar. Il nostro calendario è diverso da quello europeo.

In conclusione: ci racconta qualche aneddoto o ricordo particolare della sua esperienza nel Golfo?

Ne porto due nel cuore. Il primo: la storica vittoria di Udine per i primi tre punti in A. Con un uomo in meno portare a casa il successo è stata una gioia pazzesca: eravamo una squadra quasi tutta nuova e lì abbiamo capito che potevamo vincere delle partite. È stato un punto di partenza importantissimo. Il secondo: quando siamo saliti sul pullman dopo la promozione dalla B. C’era tutta la città ad aspettarci, vedevo persone anche meno giovani che ci salutavano dicendo ‘mai avrei pensato di vivere tutto questo e me lo state facendo provare’. Quella sensazione lì è stata qualcosa di speciale.

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